• Aprile 16, 2021
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Il ciclo idrico, ricorda una recente analisi di Ref ricerche, si conclude quando l’acqua prelevata dalla fonte viene restituita in natura depurata. In Italia sono in funzione oltre 18mila impianti di depurazione delle acque reflue urbane (dati 2018), un numero che, anche se in aumento, non basta per soddisfare i fabbisogni della popolazione, prosegue Ref. Ben 1,6 milioni di cittadini vive infatti in aree prive di depuratori. Questa mancanza è all’origine di procedure di infrazione da parte dell’Unione europea: sono tre quelle che riguardano la gestione dei rifiuti e 5 il servizio idrico; di queste ultime, 4 si riferiscono alla mancata applicazione della direttiva 91/271/CEE sulla raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue. 

Secondo Ref la produzione dei fanghi, ovvero della frazione di materia solida che rimane alla fine del processo di depurazione, diventerà centrale quando saranno in funzione i depuratori mancanti: saranno circa 4,4 i milioni di tonnellate di fanghi di depurazione prodotti ogni anno. Con l’adeguata valorizzazione, cioè con il recupero di materia o in alternativa di energia, minimizzando lo smaltimento in discarica e affidando un ruolo residuale dello spandimento in agricoltura, i fanghi sono infatti in grado, prosegue lo studio Ref, di apportare benefici ambientali ed economici.

Ref riporta poi che secondo l’ultimo Rapporto rifiuti speciali ISPRA nel 2018, l’attività di depurazione ha originato più di 3,1 milioni di tonnellate di fanghi e le tonnellate di fanghi derivate dal trattamento delle acque reflue urbane gestite nel 2018 sono state poco più di 2,9 milioni. Come modalità di gestione dei fanghi prevale lo smaltimento (56,3% del gestito) sul recupero (40%), a testimonianza di come vi siano ampi spazi per la valorizzazione; vengono smaltiti ogni anno oltre 1,6 milioni di tonnellate di fanghi che potrebbero essere invece avviati a trattamenti per il recupero di materia o di energia.

Il bilancio di gestione dei fanghi di depurazione, continua lo studio di Ref, è dunque nel complesso negativo: i deficit sul prodotto gestito registrati a Sud e al Centro non vengono compensati dai surplus del Nord e delle due Isole maggiori. Ref fa notare però che la differenza tra “prodotto” e “gestito” rappresenta un dato parziale per valutare l’adeguatezza dell’impiantistica regionale per la gestione dei fanghi. Nel caso della produzione di fanghi, i quantitativi registrati in ciascuna regione sono infatti strettamente correlati all’intensità delle attività di depurazione, che presenta molte differenze fra una regione e l’altra. Il giudizio complessivo, quindi, non può poi prescindere dalla modalità di gestione di fanghi.

Secondo Ref, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) dovrà in ogni caso tener conto della necessità di sostenere gli impianti per la gestione dei fanghi decadenti dalla depurazione. Altrimenti, il rischio potrebbe consistere in pressioni crescenti sui costi di gestione e in tariffe più elevate per gli utenti del servizio idrico, incrementando la necessità di trasportare i fanghi all’estero.

Ref riporta poi alcuni esempi virtuosi tra cui quello di CAP Holding, che ha inaugurato un progetto di simbiosi industriale tra il termovalorizzatore e il depuratore presenti nel comune di Sesto San Giovanni (MI). Il processo consiste nella valorizzazione termica dei fanghi prodotti da tutti i depuratori (circa 40) gestiti del Gruppo CAP, generando calore per il teleriscaldamento (75%) e fosforo come fertilizzante (25%). 

Lo studio sostiene infine che anche in questo settore la regolazione di ARERA può divenire “il propulsore utile a modificare lo status quo e spingere i gestori industriali a intraprendere un nuovo percorso di sviluppo”. Due gi obiettivi che l’Autorità dovrebbe portare aventi secondo Ref:

  • la previsione di un obiettivo di riduzione dei fanghi smaltiti in discarica (macro-indicatore M5).
  • l’approvazione del metodo tariffario per il periodo 2020-2023 (MTI3), ampliando la definizione del servizio di “depurazione”, includendo oltre alle attività per il trattamento dei fanghi in chiave di recupero energetico, già previste nel MTI (2014-2015), anche il recupero di materia e riconoscendo ai gestori i costi incrementali causati dal trasporto e dallo smaltimento dei fanghi.